LAVORI E SUDORE DOPO I DERIVATI
Pubblico con piacere un bel pezzo del giornalista Fabrizio Binacchi, pubblicato su
Voce di Mantova e www.pensalibero.it
Lavori e sudore dopo i derivati
Fabrizio Binacchi
“Sai qual è il vero problema? Che ci eravamo convinti che la manifattura non servisse più. Che era tutto servizi e virtualità. Ora invece devono tornare lavoro e sudore”. Parola non di un bocconiano e nemmeno di un analista economico ma di un assessore in prima linea nella ricostruzione del tessuto economico dopo il terremoto finanziario e dopo il terremoto fisico dell’Emilia. Si chiama Gian Carlo Muzzarelli ed ha la delicata partita delle attività produttive di una delle regioni locomotiva d’Europa, l’Emilia Romagna, che insieme a Lombardia, Veneto, Toscana e Piemonte fanno una quota Pil competitiva con le regioni più industrializzate dell’area euro. Cito Muzzarelli perché la sua riflessione è simbolica e paradigmatica: credevamo di risolvere tutto con la finanza, abbiamo scoperto a conti salati che ci vuole più manifattura, più prodotto, più lavoro manuale per essere sul mercato interno e internazionale. E meno male che in molti distretti, dalle ceramiche al biomedicale, dal packaging al metalmeccanico, dal benessere al turismo, la manifattura non è mai venuta meno. Anche quando gli osservatori di moda dicevano: ma come ancora fabbriche quando è tutto virtuale? Bene, bella lezione per i nostri ragazzi e ragazze. Dati alla mano bisogna considerare che il mercato ha bisogno di produttori di beni dopo l’infornata dei produttori di servizi. Appunto lavoro e fatica, sudore e attività pratica dopo la sbornia dei derivati che hanno rovinato le finanze di mezzo mondo e quelle di molti nostri comuni e banche. La scommessa è tutta qui. Indirizzare le poche risorse a disposizione e l’innovazione, anche culturale, sulla strada di un lavoro da riscoprire che torni a fare produzione di beni, oggetti, strumenti per il nuovo mercato. Sulla carta è un processo non difficilissimo, nella realtà tra crisi di settore, liquidità ridotta, e credito impossibile è molto più complicato. Ma è il nodo. E’ il nodo del 2013 al di là delle profezie e delle previsioni. Chi cerca la luce in fondo al tunnel del 2013 rischia di rimanere deluso e di scambiare la luce per scintille. Più che una luce miracolosa sarà da inseguire l’inversione di tendenza, che comprende tanti fattori: da quello internazionale, rapporto con i Paesi Brics, a quello europeo , tipo il ruolo della Banca centrale, a quello nazionale e regionale. Più fattori e più livelli incrociati: per questo tutto è più complicato, ma almeno ci devono provare. Quest’anno che si chiude ci dice due cose fondamentali, nel piccolo del confine italiano: che è ora di tornare ad una politica industriale, che non si può fare senza pensare anche alle politiche dei territori (vedasi il caso proprio del post terremoto) e che bisogna aiutare le esportazioni con nuove visioni. Come direbbe Patrizio Bianchi: non basta esportare bisogna “operare” con l’estero. Insomma le sfide, ma anche il coraggio. Cercando di tenere una riga dritta nelle oscillazioni tra rigorismo e spesa sociale, tra centralismo e federalismo. “Sa cosa mi dice mio figlio, racconta Muzzarelli, che noi vecchi siamo sinusoidali: passiamo dal federalismo spinto al centralismo di ritorno. Invece ci vuole una riga dritta”. Già dovremmo riscoprire il valore dell’equilibrio anche nelle aspirazioni mentali.>>
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