Prima di togliere la speranza costruiamo una prospettiva. Solo così si può ragionare del lavoro che manca trovando comprensione e sostegno per le riforme. Di fronte a 46 tipi di contratto e ai tanti lavori precari e malpagati, fino alla vergogna delle dimissioni in bianco fatte firmare a tante donne,non si può certo sostenere che manchino la flessibilità o la voglia della grande maggioranza dei giovani di lavorare.
Anche i professori dovrebbero rendersi conto che non conoscono tutto e che di sicuro, stando alle dichiarazioni infelici di questi giorni sull'art.18, sanno ben poco della realtà del lavoro e dei giovani italiani.
Certo, il mercato del lavoro va riformato, per migliorare le tutele e aumentare le opportunità; anche l'applicazione reale dell'art.18 merita un riflessione senza pregiudizi. Ma ogni cosa va presa dalla testa e non dalla coda: è dalla creazione di lavoro che bisogna partire, non dalle uscita dal lavoro.
E’il lavoro che manca, non la disponibilità a lavorare.
Anche la mobilità c'è se ci sono i posti di lavoro e se ci sono i servizi che ti permettono di mettere su famiglia e tener dietro ai figli anche se i genitori sono lontani. E così via. Perciò, cari professori, se volete fare delle riforme giuste, per prima cosa scendete dal piedistallo e provate ad ascoltare e capire. Consiglio a tutti la lettura del bell'articolo di Miguel Gotor su Repubblica.
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